E' molto tempo che non ci si sente.
Non c'è più tempo di scrivere... e di leggere. L'emergenza d'Abruzzo potrebbe sembrare in via di smaltimento e invece la mia impressione è che più passa il tempo più c'è bisogno di stare qui. Le persone più disincantate chiedono ormai solo: "Quanto vi fermate?" E' evidente che, avuta salva la vita, ora è il futuro quello che preoccupa di più: siamo quindi tornati alla normalità? La preoccupazione per il futuro è uno dei tratti distintivi propri della vita umana, certo, qui però la situazione è evidentemente più complessa. Al presente mancano la casa, l'intimità famigliare, la sicurezza economica, la coesione sociale e la tranquillità ambientale. Figuriamoci il futuro! Non c'è dubbio che qualcuno in questo momento è assalito dalla tentazione dell'inerzia da campo di accoglienza. Non è poi così male l'emergenza quando non si rischia la vita: la fatica del quotidiano può essere rimandata e il procrastinare la vita è ampiamente giustificato. Il campo fa sembrare lontana la prospettiva della normalità.
D'altro canto c'è chi vorrebbe scuotersi di dosso la paura di non farcela gettandosi a capofitto nella ricostruzione: altra tentazione. Occorre camminare sapendo cosa bisogna attraversare: c'è una città irrimediabilmente ferita da curare e questo non si può trascurare. Guarire si può ma occorre conoscere la malattia.
In questa opera di maturazione è utile la presenza dei volontari se vengono con una buona notizia da recare: "Voi realmente non siete soli". Questa frase però richiede una grande dose di fedeltà. L'amore dichiarato non si può e non si deve tirare indietro.
In questo momento vorrei ringraziare tutti i giovani che ci hanno dato una mano all'inizio dell'avventura. L'oratorio sta crescendo, se tornassero qui oggi non riconoscerebbero nemmeno il ritmo delle giornate eppure è anche grazie a loro che siamo qui.
Fabio, Cecilia, Andrea e AnnaPaola ci sono ancora.
Fabio, Giada, Monia, Riccardo, Mattia, Clara, Emanuela, Andrea, Claudio, gli scout civitanovesi, Samuele, Chiara, Isidoro, Jacopo, Fabiola, Donatella sono a casa.
Sono convinto che hanno imparato molto passando qualche ora quaggiù e questa è la loro ricompensa. Voglio però ringraziarli per quello che hanno dato e che non sanno quali frutti porterà: siamo tutti attori di un dramma di cui non conosciamo l'esito. L'aver dato se stessi è prova sicura di aver speso bene il loro tesoro per quel futuro che tutti temono, in particolare gli aquilani.
Grazie a tutti e non dimenticate L'Aquila: da soli non si vive.






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